Test
Dietro al tempio del Divo Cesare sorgono alcuni resti di difficile lettura. Sembrano semplici muretti, ma rappresentano ciò che rimane della Regia, la casa dei re. Secondo la tradizione l’avrebbe costruita Numa, che qui avrebbe custodito gli ancilia, pegno divino della grandezza di Roma. Si raccontava che un giorno Giove avesse fatto cadere dal cielo uno scudo bilobato, ovvero a forma di otto, un ancile appunto, dicendo a Numa che tale scudo era il simbolo della benevolenza lui accordata dal padre degli dèi, e soprattutto il pegno lui lasciato in garanzia per la futura grandezza della città. Per non rischiare che qualche nemico se ne potesse impadronire, spostando sulla propria città la benevola profezia, Numa (grazie anche ai consigli della sua amante divina Egeria) fece fare ad un fabbro di nome Mamurio Veturio undici copie identiche dello stesso scudo, affinché, una volta unito ad esse, divenisse impossibile per chiunque distinguere l’originale. Due volte l’anno i dodici scudi, dodici come i mesi dell’anno, erano portati in processione da sacerdoti danzanti (o meglio saltellanti) detti Salii; per il resto del tempo erano gelosamenti conservati qui, in un sacello dedicato al dio Marte. Un altro ve ne era poi, dedicato ad Ops, la dea dell’abbondanza. In realtà le fonti ricordano varie dimore per i successivi re, e anche il rex sacrorum, che ereditò le prerogative religiose del monarca nel periodo repubblicano, non risiedeva stabilmente qui, ma si recava in questo sacro edificio solo per officiare importanti ed antichi riti. Qui venivano poi conservati gli Annali (le cronache annuali) della città e il calendario.