Tempio di Vesta
Accanto al tempio dei Castori si erge il tempio di Vesta. Che però non è un tempio. Un templum, tempio, è propriamente uno spazio sacralmente orientato secondo i punti cardinali. Quindi un edificio a pianta circolare, per definizione, non può esserlo. Cos’è allora questo bellissimo edificio? Una cella, ovvero la casa della divinità. In genere la cella si trova all’interno di un tempio, è la sua parte più interna, quella nella quale viene alloggiata la statua di culto. Questo era l’edificio in cui le Vestali, unico corpo sacerdotale femminile di Roma, custodivano il fuoco sacro della città. Il compito era di estrema importanza, il sacro fuoco infatti non doveva mai essere spento. Annualmente, quando si procedeva alla pulizia dell’edificio, il fuoco vecchio era usato per dar vita ad un nuovo tizzone, e in seguito a ciò sacralmente spento. Solo allora le ceneri accumulate nel tempio venivano raccolte e gettate nel Tevere. L’importanza di tale perpetuità del fuoco era tale che la punizione per la vestale che l’avesse fatto spegnere era terribile. La poveretta veniva presa e portata presso la Porta Collina, sul Quirinale, nel cosiddetto Campo Scellerato. Qui, all’interno del terrapieno che circondava la città anticamente, era stata ricavata una piccola stanzetta. La sacerdotessa vi era fatta entrare, le veniva dato del pane, dell’acqua ed una candela, e poi veniva murata viva. La stessa sorte toccava alla poveretta se fosse venuta meno (non importava se volutamente o in seguito a costrizione), al suo voto di castità. In tal caso però anche l’amante della sacerdotessa faceva una brutta fine, veniva infatti fustigato a morte nel Comizio. In realtà, essere una vestale a Roma comportava sì oneri, ma anche onori. Le vestali potevano infatti, uniche donne a Roma, disporre del loro patrimonio economico, potevano girare per la città a bordo di un carro, avevano posti in prima fila per poter ammirare i gladiatori (le altre donne stavano in piccionaia, su su, al quarto ordine dell’anfiteatro, da dove anche solo distinguere un bicipide era difficile!) Insomma, non se la passavano poi tanto male. La loro carica non durava a vita. Scelte all’età di circa 6 anni dal Pontefice Massimo (il sacerdote romano dal quale il papa ereditò il suo titolo più solenne), dovevano restare in servizio per trent’anni. Nella Roma dei tempi una trentaseienne era già una donna attempata, ma contando nei soldi che aveva accumulato e nel prestigio di cui godeva, restava comunque un buon partito. Coloro che si erano ormai abituate ai privilegi garantiti dal velo, potevano restare al loro posto, ed aspirare al ruolo di Vestale Maxima, una sorta di Madre Badessa. Nel tempio si conservavano anche alcuni oggetti di inestimabile valore, i cosiddetti pignora imperi, alcuni dei tanti pegni lasciati dagli dèi a garanzia della futura potenza della città. Tra essi il più importante era il Palladio, una statua lignea raffigurante Minerva, che Enea aveva sottratto da Troia in fiamme.