Tempio di Antonino e Faustina
L’edificio sacro, ben conservato per il suo esser stato trasformato nella chiesa di S. Lorenzo in Miranda, fu dedicato dall’imperatore Antonino Pio alla memoria della moglie Faustina nel 141 d.C. Quando vent’anni dopo la seguì, il senato aggiunse il suo nome alla dedica. Questo tempio permette di apprezzare la sostanziale differenza tra i templi greci e quelli romani. I templi greci hanno in genere gradinate di accesso su ogni lato, i romani invece sorgono su un alto podio che permette l’accesso all’edificio solo con una gradinata frontale. Sui gradini si trova poi l’altare, esternamente quindi all’edificio. Questo perché i riti romani si svolgevano all’esterno. Solo una volta all’anno, in occasione del dies natalis, ovvero del giorno che ricordava l’inaugurazione del luogo di culto, esso era aperto, e si svolgeva il rito dedicato alla divinità titolare del tempio. A differenza delle moderne parrocchie i templi antichi non avevano dei sacerdoti addetti al servizio quotidiano. I pontefici che si occupavano di officiare i riti romani si spostavano di volta in volta nei vari luoghi di culto in cui si rendeva necessaria la loro presenza (appunto in occasione dei vari anniversari), per il resto rimaneva ad occuparsi della gestione dell’edificio un sagrestano, aedituus. Generalmente si legge sulle guide che i segni che ancora si vedono al sommo delle grandi colonne di cipollino che ornano la fronte del tempio risalgono a un mal riuscito tentativo di spoglio dell’edificio. Esse sarebbero i solchi lasciati dallo sfregamento delle corde lì poste da predatori che volevano recuperare i marmi dell’edificio per riutilizzarlo chissà dove. Tuttavia, se così fosse stato, i segni dello sfregamento sarebbero stati necessariamente più profondi sulla fronte delle colonne, rispetto al retro, mentre così, effettivamente, non è. L’ipotesi è dunque che quei solchi siano dovuti ad elementi di sostegno di una copertura, realizzata evidentemente a ridosso del colonnato del tempio quando ormai l’edificio era caduto in disuso.