Teatro di Marcello
“Tu Marcellus eris”, così esclama piangendo Anchise allorché mostra ad Enea quelli che saranno i suoi nobili discendenti, e Marco Claudio Marcello, figlio di Ottavia, sarà per Augusto il più diletto. Un solo dolore darà al celebre zio, la morte prematura, proprio mentre quello sperava di farne il futuro imperatore di Roma. Non sarà il solo in realtà a dare tale dispiacere ad Augusto, anche i due nipotini Caio e Lucio, e l’amico-genero Agrippa faranno la stessa prematura fine, per un avverso fato legato alla successione o, come i più credono, perché Livia, la moglie di Augusto, non trovò mezzo più efficace per garantire il trono al suo amato Tiberio. Ma tant’è, traccia della gloria del povero Marcello si trova ancora oggi eternata, oltre che nel celebre passo virgiliano, nel teatro che porta il suo nome. Lo aveva già iniziato Cesare, ma le idi di marzo ne impedirono la realizzazione. Se ne fece allora carico Augusto, che lo utilizzò per la prima volta in occasione dei Ludi Saeculares del 17 a.C., ma fu dedicato solo nel 13 a.C. Il suo ottimo stato di conservazione, almeno per quanto concerne la facciata, si deve alla sua trasformazione nel Medioevo in palazzotto dei Pierleoni e via via delle più importanti famiglie romane, fino ai Savelli, che nel XVI secolo diedero incarico della sua attuale sistemazione a Baldassarre Peruzzi. La cavea aveva un diametro 129,80 m. e un’altezza di 32,60 (se ne conservano una ventina, è crollato il terzo piano, un attico chiuso decorato con paraste in stile corinzio). Restano oggi a far immaginare la maestosità di un tempo solo parte delle 41 arcate, su due ordini (dorico al piano terra e ionico al primo) in travertino. Poteva ospitare circa 15.000 persone e il modo migliore di farsi un’idea di come i Romani passassero il tempo al suo interno è leggere i divertentissimi epigrammi di Marziale, il quale ricorda gli stratagemmi messi in campo dai suoi concittadini per occupare i posti migliori riservati ai cavalieri sfoggiando magari uno sgargiante mantello sopra la toga, nascondendo le cicatrici da ex-schiavo dietro dei finti nei o fingendo di star seduto anche senza aver effettivamente un vero posto sotto le terga.