Peristilio della Domus Augustana
Se Goethe passeggiando sul Palatino, osservando solo i resti del palazzo imperiale, si diceva affascinato da tanta grandiosità, non stupisce che Marziale – che poteva ammirarlo nella sua interezza – ne parlasse con toni assolutamente mirabolanti, sostenendo che il palazzo arrivava a toccare le stelle. Del resto basta passeggiare per Villa Adriana o tra i resti della villa di Tiberio a Capri per avere un’idea, anche solo sbiadita, di quella che doveva essere la maestosità e il lusso di una dimora imperiale. Il primo a risiedere sul Palatino fu Augusto, il quale fece della sua stessa dimora un manifesto della sua politica, trasformandola in una sorta di sagrestia del grande tempio di Apollo, dio sotto il cui benevolo sguardo si era aperto il Secolo Aureo di pace e prosperità. Tiberio volle una dimora degna di un sovrano e costruì sul lato occidentale del colle quella che noi oggi chiamiamo la Domus Tiberiana. Nerone, che ve lo dico a fare, si fece prendere la mano, e costruì prima la Domus Transitoria e poi, essendo stata questa distrutta dall’incendio del 64, la Domus Aurea. Domiziano, che si sentiva Dominus ac Deus, volle una dimora capace di contenere il suo ego, nacquero così la Domus Flavia, la Domus Augustana e lo Stadio. Il Palatino era ormai un grande palatium. L’artefice di questo imponente progetto fu Rabirio. Il cantiere partì probabilmente dall’ala di rappresentanza (la Domus Flavia), cui seguirono gli appartamenti privati (l’Augustana) e, ultimo, lo Stadio. Gli edifici che si trovano oltre questo risalgono all’ultimo ampliamento, voluto da Settimio Severo. L’edificio doveva letteralmente schiacciare il visitatore, ogni angolo aveva il compito di far sentire la potenza del sovrano, farne respirare la grandezza e per riflesso far avvertire a sudditi e ambasciatori stranieri la loro piccolezza. Per averne un’idea basta percorrere la rampa di accesso che ancora oggi sale dalla Chiesa di S. Maria Antiqua fino alla sommità del colle.
Grandezza e bellezza.
Nell’area residenziale si distingue ancora oggi, nonostante il cattivo stato di conservazione, un porticato con al centro un bacino ornamentale, dotato di un ponte che conduceva a un piccolo edificio colonnato. Sarebbe questo il tempietto dedicato a Minerva dall’imperatore che le era devotissimo. Alla dea egli eresse infatti diversi templi, tra cui quelli del Campo Marzio e del suo foro, a lei innalzò statue e dedicò feste e agoni, a lei intitolò una legione.